Viviamo in un’epoca in cui la felicità sembra essere diventata un obbligo. Siamo costantemente esortati a pensare positivo, a visualizzare successi, a eliminare i pensieri negativi e a coltivare solo emozioni “giuste”. Ma se fosse proprio questo inseguimento della felicità ciò che ci allontana dal benessere autentico?
Nel mio lavoro clinico, attraverso l’ipnosi e la psicoterapia, osservo spesso un paradosso: più una persona cerca di sentirsi felice, più percepisce la distanza da quello stato desiderato. È un fenomeno molto comune, ma raramente riconosciuto. Ed è qui che entra in gioco un approccio radicalmente diverso, ma sorprendentemente efficace: smettere di lottare contro ciò che si prova. Continua a leggere per scoprire di più.
Psicologia positiva: di cosa si tratta?
La psicologia positiva è una branca della psicologia fondata alla fine degli anni ‘90 da Martin Seligman e altri studiosi, con l’obiettivo di focalizzarsi non solo sul trattamento dei disturbi, ma anche sullo sviluppo delle risorse interiori, delle emozioni positive e del potenziale umano. È uno studio rigoroso delle condizioni che favoriscono il benessere soggettivo, la resilienza, la gratitudine, il flow, il senso di scopo.
Questo però non significa che la psicologia positiva sia solo ottimismo forzato o negazione della sofferenza. Non si tratta di illudersi che tutto andrà bene o che visualizzando positivamente un evento futuro questo accadrà magicamente, ma un invito a comprendere a fondo come fiorisce la vita umana, anche (e soprattutto) in presenza delle sue inevitabili difficoltà.
Il paradosso: stare male per stare bene
Uno dei fenomeni umani più sorprendenti è che cercare attivamente di evitare emozioni negative spesso le rafforza. Questo accade per un effetto noto come “monitoraggio ironico”: più cerchiamo di non pensare a qualcosa, più il cervello ne resta intrappolato. Ad esempio, se ti chiedessi di non pensare a un elefante rosa, probabilmente l’immagine apparirebbe immediatamente nella tua mente. Quindi, più eviti un pensiero o un’emozione, più stai attivando dentro di te le sue radici.
Paradossalmente, più cerchi di essere felice, più questa felicità si allontana, proprio perché continuando a monitorarla ne impedisci la crescita. Anche se questa emozione fosse presente, potrebbe non sembrare sufficiente o completamente appagante. Il risultato di questo controllo è quasi sempre una nuova e intensa frustrazione.
Il potere dell’accettazione
Qui entra in gioco un principio fondamentale: accettare ciò che si prova è spesso il primo passo per trasformarlo. Le nostre emozioni, per svolgere il loro compito, hanno bisogno di essere validate, non evitate. Solo così possiamo agire per attivare un cambiamento.
Non si tratta quindi di rassegnarsi o passivizzare la propria esperienza, ma di smorzare la lotta interna contro ciò che già esiste.
Accettare l’ansia, la tristezza, l’incertezza, significa dare loro uno spazio, ascoltarle, lasciarle esistere senza volerle cancellare nell’immediato. È proprio in questa apertura che spesso emerge un senso di sollievo profondo.
In molte terapie contemporanee, come l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), questa idea è centrale: non dobbiamo controllare ogni pensiero o emozione, ma imparare a stare con essi in modo flessibile. È un cambio di paradigma che libera risorse anziché consumarle.
Quando abbandoni il controllo
Una delle trappole mentali più comuni è il bisogno umano di controllo: delle emozioni, delle situazioni, del comportamento degli altri. Più ci imponiamo di funzionare in un certo modo, meno sentiamo di essere autentici. Più cerchiamo di controllare tutto, soprattutto ciò che sfugge al nostro controllo, più emergeranno in noi sensazioni di ansia, angoscia e paura.
Se rinunciamo a questo controllo si apre uno spazio di libertà. Quando accettiamo la nostra vulnerabilità, l’imperfezione, il dubbio, scopriamo che non abbiamo bisogno di diventare qualcun altro per stare meglio. Abbiamo solo bisogno di stare davvero dove siamo, con ciò che c’è.
Oltre la perfezione
La psicologia positiva più matura e profonda ci invita non a eliminare il negativo, ma a integrare la totalità dell’esperienza umana, la luce e l’ombra, o come direbbero in medicina cinese, l’armonia tra yin e yang.
La felicità è un’emozione e, come tutte le emozioni, si genera, si presenta a noi e poi se ne va. Piuttosto che chiederci di essere felici tutto il tempo è più utile mirare a una buona serenità, uno stato che si genera quando siamo in contatto con la vita in tutte le sue sfumature.
Il benessere autentico non nasce dal controllo, ma dalla disponibilità ad attraversare anche il disagio. È una forma di coraggio emotivo: il coraggio di sentire, di ascoltarsi, di essere pienamente sé stessi.
Conclusioni
Come terapeuta, posso dirti che i momenti più intensi e trasformativi di una terapia arrivano quando una persona smette di chiedersi “Come posso smettere di sentirmi così?” e inizia a chiedersi “Cosa mi sta dicendo questa parte di me?”. È qui che inizia il vero cambiamento.
Se qualcosa in queste parole ha risuonato dentro di te, contattami e ne parliamo insieme.